Mentre in Germania l’energia eolica e solare ha superato quella dei combustibili fossili, in Italia ancora si brucia carbone. All’assemblea degli azionisti di Enel Banca etica e gli ambientalisti attendono le risposte alle 70 domande.
Queste sono le domande sottoposte dal Movimento no coke Alto Lazio:
ENEL: l’energia che ti ascolta; cosi si presenta l’azienda in uno dei suoi più conosciuti spot pubblicitari. ENEL, l’energia che ti opprime viene, invece, vissuta l’azienda ovunque sia presente, in Italia come nel mondo.
E questo perché il Consiglio di amministrazione e quella pletora di dirigenti, che voi e noi, sia in qualità di azionisti che in qualità di cittadini, paghiamo profumatamente, si è volutamente mostrata sorda e cinicamente indifferente dinanzi alla sofferenza dei territori, incapace di ascoltare quanto avevano da dire intere popolazioni rispetto le scelte industriali dell’azienda che si sono trovate a subire. Peggio ha utilizzato milioni di euro per imbavagliare le popolazioni con ricorsi, consulenze pilotate, pressione sui mass media, finanziamenti ai governi locali e nazionali, sponsorizzazioni distribuite a pioggia su società ed associazioni; costi importanti che ENEL sostiene per imporre le proprie volontà sui territori, comprando il consenso degli enti locali che in Italia schiacciati dal patto di stabilità, altrove schiacciati dalla fame e dalla corruzione, si trovano a dover gioco forza accettare.
Milioni di euro che è bene sottolineare vanno ad incidere, unitamente alle tante altre scelte sbagliate, sul pesante debito finanziario dell’azienda.
Un debito di 43 miliardi di euro dovuto a scelte ed investimenti sbagliati, come quello dell’acquisto di ENDESA, cha ha comportato grandi debiti a fronte di bassi ricavi, facendo sì che il titolo crollasse in borsa, o come quello di continuare a spingere sulla realizzazione di nuovi impianti di cui non vi è alcuna necessità nell’attuale contesto di progressivo e crescente calo dei consumi energetici: 5% rispettivamente nel 2010, nel 2011 e nel 2012, che si attesterà, secondo le stime degli analisti internazionali, all’8% nel 2013 per giungere un picco del 40% nel 2020.
Politiche aziendali non solo sorde, ma che si stanno rivelando una vera e propria trappola per gli azionisti che si trovano a dover decidere, al fine di ridurre il debito miliardario, un taglio di oltre 6 miliardi entro il 2017 tramite la chiusura di impianti a turbogas e olio combustibile per circa 7000 MW e al taglio di circa 3500 posti di lavori, e a dover sostenere nel contempo investimenti per nuovi impianti e riconversioni, come quelle di Porto Tolle, di Rossano, di Bagnore, di Monte Amiata di cui non c’è alcun bisogno, e che, per di più, sono profondamente osteggiati dalle popolazioni e che proprio per questo graveranno sul bilancio con tutta una serie di pesanti costi aggiuntivi.
Siamo stati quindi costretti a comprare delle azioni, per riuscire ad interloquire con voi, azionisti di ENEL, nella speranza di trovare luogo più fertile all’ascolto, di riuscire a rendervi maggiormente consapevoli di alcuni aspetti delle politiche aziendali che hanno ed avranno sempre più pesanti ricadute in termini non solo ambientali ed etici, ma anche in termini strettamente economici, se anche, con estremo cinismo, vi interessasse solo questo aspetto, su quelle che sono le prospettive aziendali di breve e medio termine.
Perché è bene che sappiate che ognuno di voi che siede qui, ogni singolo azionista ENEL, in virtù delle politiche aziendali portate avanti dal CdA, è responsabile a tutti gli effetti delle devastazioni sociali, ambientali e sanitarie che l’ente energetico agisce sui territori.
Responsabile delle pesantissime percentuali di mortalità e morbilità per patologie oncologiche, respiratorie e cardiovascolari che si registrano a Civitavecchia, a Brindisi, a La Spezia, nell’amiantino, etc; percentuali, badate bene, i cui dati sono costituiti dai corpi, dalla carne e il sangue di migliaia di bambini, di uomini e donne che hanno pagato e continuano a pagare con la vita e con immani sofferenze le ricadute sulla salute di milioni di tonnellate di veleni che questi impianti immettono nell’ambiente circostante.
Responsabili della distruzioni di intere economie devastate dal pesantissimo inquinamento provocato da questi impianti, spesso in esercizio in violazione delle più elementari norme di sicurezza ambientali e per questo sottoposti a decine di inchieste giudiziarie, come nel caso del Brindisino, ma non solo.
Responsabili della violazione dei diritti umani di intere popolazioni come in Cile, in Colombia, in Guatemala.
Responsabilità di cui ognuno di voi dovrà rispondere davanti alla propria coscienza e alla storia, ma di cui, invece l’azienda, e a questo forse sarete più sensibili. si troverà a rispondere in solido nelle sedi giudiziarie. E questo non farà certo bene all’immagine e ai bilanci di ENEL, nonostante gli sforzi di apparire azienda attenta alla sostenibilità ambientale e alla questione sociale.
Perché è bene che sia chiaro che porteremo ogni singola violazione dei diritti umani nelle sedi di giudizio europee ed internazionali; ogni singola violazione delle normative vigenti sulle leggi ambientali e sanitarie e delle rispettive autorizzazioni in tribunale; chiameremo a rispondere degli immensi danni sanitari che sta subendo la popolazione e chiederemo il risarcimento danni per ognuno. E questo avrà un costo enorme per l’azienda, è bene gli azionisti lo sappiano, non solo in termini di spese legali, di consulenze e quant’altro, ma soprattutto in termini di risarcimenti e di danno all’immagine: la difesa della nostra vita, della nostra salute e delle nostre terre contro l’immagine aziendale.
Ci sono poi i cosiddetti costi esterni, che seguendo l’ormai consolidata logica per cui si privatizzano i benefici economici e si scaricano i costi ambientali, sanitari e sociali sullo Stato, ovvero sui contribuenti, si troverà a pagare l’intero paese e ci si dovrebbe spiegare come il socio di parte pubblica, che dovrebbe sedere in questa assise a rappresentare gli interessi del popolo italiano, intenda far coincidere tali oneri con l’interesse nazionale.
Dove risiede, ad esempio, l’interesse nazionale nell’approvare un piano industriale che prevede di portare la quota di energia prodotta con il carbone al 50%, ben sapendo che tale tipologia di combustibile è quella che presenta le maggiori esternalità; basti considerare che applicando il metodo d calcolo dei costi esterni messo a punto dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA)all’insieme delle centrali a carbone di ENEL in Italia, utilizzando i dati 2009, si stima un costo esterno complessivo di 1772 milioni di euro. La prospettiva di una decarbonizzazione della produzione di energia è quindi ambientalmente auspicaile, socialmente utile ma anche economicamente convincente.
Stesso interesse nazionale che non riusciamo a percepire nell’analisi della Strategia Energetica Nazionale approvata dal Governo Monti e che si basa sui tre filoni economicamente insostenibili per i territori che ne saranno coinvolti e che distruggeranno decine di economie di scala, basti pensare alla questione degli agrocombustibili.
Vogliamo inoltre in questa sede evidenziare che riteniamo inaccettabile che ENEL, società il cui socio di maggioranza relativa è il Governo italiano, non ottemperi alla volontà popolare, sancita con il referendum del 2011 di rigetto della strategia nucleare; non pretendendo l’uscita dell’azienda dai progetti attivi o in itinere in Spagna (4) e nell’Europa dell’Est il Ministero del Tesoro viola la sovranità popolare.
Le politiche energetiche che ENEL persiste nel voler portare avanti si sono dimostrate economicamente, socialmente ed ambientalmente fallimentari, il futuro è in un diverso modello di energia, una energia giusta che sappia inserirsi con armonia nei territori e ne incentivi anziché distruggere le vocazioni, che sia al servizio e non contro i cittadini, che si basi su una produzione diffusa ed utilizzi le nuove tecnologie reticolari di trasmissioni.
Non cambiare indirizzo significa continuare a percorrere una strada fallimentare che non farà che aumentare il debito dell’azienda; per questo vi proponiamo di fermarvi, di fare una moratoria di tutto l’autorizzato, compresi i pozzi geotermici dell’amiantino, e delle riconversioni per successivamente avviare un nuovo piano energetico basato sulle reali necessità del paese.
Una strada che in realtà è obbligata perché vogliamo dirlo con la determinazionie di chi sta difendendo il proprio futuro: la diga de El Quimbo in Colombia, HydroAysen in Cile, le centrali nel territorio Mapuche, le riconversioni a carbone di Porto Tolle e Rossano Calabro, la centrale di Bagnore e quelle sul Monte Amiata sono tutti progetti che non si faranno. Perchè noi ci opporremo uniti e con la forza e la determinazione di chi sta proteggendo la propria terra e il futuro dei propri figli, .
“Nel 2012, il 31,03% dell’energia elettrica prodotta complessivamente da Enel a livello globale è stato generato bruciando carbone, un dato in crescita del 6,6% rispetto all’anno precedente”. “Se si restringe il campo all’Italia, il dato è ancora più preoccupante. Dal 2010 al 2012 la percentuale di elettricità generata dal carbone è cresciuta del 14,3%, fino a raggiungere il 48,14% odierno. Nello stesso periodo le nuove rinnovabili (solare ed eolico) sono cresciute di appena l’1,5%”.
Lo sviluppo del carbone in Italia è affidato alle centrali di La Spezia, Civitavecchia, Porto Tolle,Rossano, Brindisi, attorno alle quali si sono organizzati comitati e movimenti di cittadini per protestare contro i rischi di mortalità e malattie indotti dalle emissioni di ossidi di zolfo e di azoto, PM10 e CO2. A nome di Greenpeace, Re:Common e dei comitati italiani, la Fondazione di Banca Etica ha inviato a Enel più di 70 domande. Eccone alcune: “Quali sono i costi operativi dell’impianto di La Spezia? Non sarebbe più conveniente chiudere l’unità a carbone e utilizzare in modo più efficiente le due unità a gas naturale già esistenti?”; “perché lo studio di impatto ambientale sull’impianto a carbone di Porto Tolle non presenta anche analisi di costi e benefici basate su altre opzioni?”; “in base a quali dati la società considera come non rilevante l’aumento di traffico marittimo – e i relativi impatti ambientali e sul paesaggio – dovuto alle chiatte che porteranno il carbone a Rossano, in Calabria?”. Su questi ed altri quesiti ci si attende una risposta entro la fine dell’assemblea di oggi (come prevedono le norme del Tuf, testo unico della finanza, per le società quotate in borsa).
I comitati italiani si ritrovano a combattere battaglie decennali, come quella contro il carbone a Civitavecchia, a due passi da Roma. “La nostra è la prima città nel Lazio e la terza in Italia per casi di tumori alle vie respiratorie”, spiega Simona Ricotti dei No Coke Alto Lazio, delegata a parlare all’assemblea dell’Enel in rappresentanza delle altre realtà italiane. L’autorizzazione integrata ambientale rilasciata lo scorso marzo non sembra risolvere il problema. Anzi, forse lo peggiora. Sono stati infatti innalzati i limiti di emissione di monossido di carbonio, mentre non è stato inserito lo sbarramento dello 0,3 per cento di zolfo nel carbone (fissato dal piano regionale per la qualità dell’aria).
Di stretta attualità l’incidente occorso all’impianto di La Spezia, dove lo scorso 26 marzo si è verificata una fuoriuscita di ceneri del carbone in seguito a “un’accidentale apertura di una valvola dell’impianto raccolta ceneri”. Ma già nel 2011 e nel 2012 una serie di emissioni ‘anomale’ avevano messo in allarme i cittadini spezzini, fino alla presentazione di un esposto alla magistratura. Le ceneri provenienti dalla combustione del carbone “possono essere riutilizzate nei materiali edili e nell’asfalto” e “non costituiscono rifiuti pericolosi”, precisa il ministero dell’Ambiente (DM 5 febbraio 1998). Ma i cittadini e il Comitato SpeziaViaDalCarbone non si fidano. Studi recenti, effettuati tra gli altri dalla U.S. Geological Survey, hanno mostrato che, con il tempo, dai derivati delle ceneri del carbone usati per il manto stradale, possono volatilizzarsi elementi cancerogeni, ai quali sembrano particolarmente esposti i bambini. Inoltre, le sostanze tossiche possono raggiungere le falde acquifere e contaminarle. Nel 2012 – sulla base delle ricerche della U.S. Geological Survey – in molti stati degli Usa (Texas, Washington, Minnesota, Illinois, Massachusetts) sono state presentate proposte di legge per vietare l’uso di ceneri del carbone per il manto stradale.
Per gli azionisti critici di Enel, la scelta del carbone potrebbe essere controproducente anche per ragioni economiche. “La produzione decentrata di energia grazie ai pannelli solari sui tetti, il mini-eolico, il mini-idroelettrico sta ribaltando il modello energetico costruito negli ultimi secoli intorno alle fonti fossili, ai grandi impianti, agli oligopoli”, spiega Baranes. “E’ in atto una rivoluzione, che Enel e il governo italiano che ne è l’azionista principale sembrano voler osservare in disparte: lenuove rinnovabili contribuiscono solo per il 3,14% al mix di produzione energetica della società a livello globale. La crescita dal 2011 al 2012 è stata inferiore all’1%. Il solare non è nemmeno indicato in bilancio tra le fonti che contribuiscono al mix di produzione”.
Intanto, il 18 aprile, in Germania le nuove rinnovabili hanno messo a segno un altro record. Secondo le rilevazioni dell’International Economic Platform for renewable energies (Iwr) su dati Eex (European Energy Exchange) per la prima volta in assoluto eolico e solare hanno prodotto ben 36.000 MW di energia elettrica, oltre metà dei 70.000 MW raggiunti complessivamente nel paese durante il picco di giornata. “Una capacità produttiva pari a oltre 30 centrali nucleari” – riporta e-gazette.it – che ha permesso il sorpasso storico dell’energia del sole e del vento sulle fonti fossili.
In Italia un traguardo del genere sembra ancora lontano. La nuova Sen (Strategia energetica nazionale), varata lo scorso 14 marzo dal governo uscente, non promette nulla di buono. “Non è stata fatta una vera scelta a favore di un modello basato su rinnovabili ed efficienza e non si è individuata una vera e propria strategia di transizione”, hanno dichiarato in un comunicato congiunto Greenpeace, Legambiente e WWF. La quota di carbone viene mantenuta stabile e le nuove forme di sostegno alla crescita delle rinnovabili rischiano di scomparire dalle bollette a vantaggio dei contributi ai rigassificatori. Alla fine la Sen potrebbe essere solamente “un modo per sostenere i soliti noti e non intaccare, anzi favorire gli interessi delle grandi lobby dei combustibili fossili”.
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