Si può morire di cancro al polmone anche per inquinamento dell’aria

 


Si può morire di cancro al polmone anche per inquinamento dell’aria? Lo IARC dice di sì. E’ una
giornata storica per l’epidemiologia, la tossicologia e la salute pubblica questo 17 ottobre, in cui la
massima autorità mondiale in fatto di studio degli agenti cancerogeni ha presentato a Parigi i dati
della monografia numero 109 dedicata, appunto, all’”outdoor air pollution”. L’inquinamento
atmosferico esterno è stato infatti classificato nel Gruppo 1, cioè cancerogeno per l’uomo: come il
cloruro di vinile, la formaldeide, l’amianto, il benzene, le radiazioni ionizzanti.
Già lo IARC si era espresso sulla cancerogenicità di alcune sostanze che compongono il classico
smog, come il fumo da diesel e il benzo(a)pirene. Ma in questo caso è l’insieme dell’inquinamento
atmosferico esterno – formato da combustioni da traffico, riscaldamento e emissioni industriali – a
rientrare nel Gruppo 1. Una decisione che avrà sicuramente conseguenze scientifiche e politiche di
rilievo. “Classificare l’inquinamento outdoor come cancerogeno umano è un passo importante per
spingere all’azione senza ulteriori perdite di tempo, visto che la pericolosità dell’inquinamento è
proporzionale alle concentrazioni in atmosfera e molto si può fare per abbassarle” ha spiegato nella
conferenza di presentazione dei dati il direttore dello IARC Christopher Wild.
Soprattutto tumori al polmoni, ma anche alla vescica
La Monografia 109 raccoglie una messe enorme di dati e studi, che alla fine hanno convinto il panel
internazionale di esperti a prendere la non facile decisione. Si ha quindi la ragionevole certezza che
l’esposizione all’inquinamento protratto nel tempo aumenti la probabilità di sviluppare un tumore al
polmone o alla vescica. Il rischio individuale non è paragonabile quantitativamente a quello del fumo
di sigaretta, che resta il killer principale. Ma coloro che derubricavano lo smog a male minore dello
sviluppo – qualche oncologo di fama l’aveva addirittura considerato “meno dannoso della polenta” –
dovranno ora ricredersi: non solo l’esposizione a polveri sottili, idrocarburi policiclici aromatici, ozono
e biossido di azoto aumentano il rischio di malattie respiratorie, infarto a altri problemi come il basso
peso alla nascita (come appena confermato da uno studio uscito su Lancet). Ora si può dire con
relativa certezza che una quota significativa dei tumori al polmone derivino da queste esposizioni
ambientali.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, 223.000 morti in tutto il mondo, a cui vanno
aggiunti circa 3 milioni di morti per tutte le altre malattie correlate al solo PM2.5, metà dei quali sono
da attribuire ai pesanti inquinamenti da carbone, traffico e biomasse (legna per lo più) in Cina e nel
Sud Est asiatico.
Identikit dei veleni

Una recente relazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (EEA, 2012) indica che gli inquinanti più
problematici in Europa sono PM e ozono. Del PM sappiamo ancora troppo poco: secondo il volume
IARC (disponibile anche in versione epub sul sito dell’ente) “tipicamente solo circa il 20 % dei PM
organico è identificato a livello molecolare”. I livelli sono determinati prevalentemente da emissioni
puntiformi locali, ma anche, in misura minore, dal trasporto intercontinentale. Inquinanti assai critici
sono anche il benzo(a)pirene, il piombo (in certe aree) e il benzene. Di fatto, il il 90-95% della
popolazione urbana in Europa è esposto a livelli di PM2.5 superiori a quanto stabilito dalle linee guida
dell’OMS sulla qualità dell’aria, l’81% a corrispondenti livelli di PM10, più del 97% a concentrazioni di
ozono, e il 94% a concentrazioni di Benzo(a)pirene, sempre superiori alle soglie OMS. In realtà, a
seconda degli inquinanti, le distruibuzioni possono essere più o meno unifomi. Le concentrazioni di
specie secondarie (come solfati, ozono, acidi organici) sono abbastanza omogenee sul territorio. Al
contrario, gli inquinanti primari (come monossido di carbonio, idrocarburi policiclici aromatici (IPA),
black carbon) sono presenti in concentrazioni molto elevate soprattutto nei canyon stradali e in
genere fino a 200 metri della strade più trafficate.
Non che le cose al chiuso vadano poi meglio:anzi, in determinate condizioni le concentrazioni indoor

possono essere anche quantitativamente e qualitativamente più critiche dei quelle esterne. Secondo
la revisione dello IARC, infatti, “quasi il 100% di un composto gassoso atmosferico non polare
(benzene, toluene, xilene ) viene trasportato al chiuso e persiste nel tempo. Al contrario, i composti
polari, i gas idrosolubili (ad esempio formaldeide, perossido di idrogeno, acido nitrico ) penetrano
dell’involucro dell’edificio con efficienze inferiori e hanno grandi tassi di decadimento all’interno. Le
concentrazioni di particelle di materia organica sono spesso notevolmente più elevate delle
concentrazioni esterne”.

Insomma, si può ben dire che i circa 10mila litri di “aria” che ogni giorno inspiriamo lascia una
traccia gravida di conseguenze per la salute. Anche in termini di vere e proprie mutazioni del DNA,
che rappresentano spesso l’innesco spesso fatale del tumore al polmone.
Problema biomasse
Quanto alle fonti a cui imputare i danni da inquinamento, il traffico pesa per una quota oscillante fra
il 20 e il 40%, con una grossa responsabilità dei mezzi Diesel, su cui lo IARC si è già pronunciata di
recente. Da non sottovalutare poi il contributo delle biomasse, certamente più pesante a livello
mondiale delle combustioni industriali e da traffico, che avvengono in condizioni più controllate. La
biomassa tradizionale rappresenta il 10% del consumo di energia primaria nel mondo, con 2,7
miliardi di persone che bruciano legna e altro per riscaldarsi e cucinare. E non a caso essa è posta ai
primimposti del “burden of disease” a livello planetario, con 2 milioni di morti premature all’anno da
infezioni acute delle basse vie respiratorie, malattia polmonare ostruttiva cronica e cancro del
polmone.

“Sebbene la maggior parte dei combustibili da biomassa siano intrinsecamente esenti da
contaminanti” scrive il rapporto dello IARC, “una frazione del combustibile viene convertita in
prodotti di combustione incompleta. Il fumo da combustione di biomassa contiene migliaia di
sostanze chimiche, molte delle quali hanno documentati effetti infiammatori e cancerogeni
(benzene, butadiene, formaldeide).
E sbaglia chi pensa che l’inquinamento da biomassa riguardi solo i paesi in via di sviluppo o sperduti
luoghi di campagna. Uno degli effetti paradossali della crisi economica in corso è proprio il ritorno a
forme “selvagge” di combustione di legna anche in contesti urbani. Lo ha recentemente
documentato Dimosthenis Sarigiannis dell’Università Aristotele di Salonicco proprio in relazione alla
sua città, presa nella morsa della terribile recessione greca, cui si tenta di rispondere con discutibile
misure di austerità. Da quando il governo greco ha alzato nel 2012 le tasse sull’olio combustibile da
riscaldamento (portandolo da 0,90 centesimi di euro a 1,30 euro al litro) la gente ha di fatto smesso
di approvvigionarsi di olio combustibile cominciando a bruciare legna di ogni genere (dagli alberi ai
vecchi mobili). Con il risultato che, mentre l’inquinamento da polveri è diminuito nei mesi caldi per la
riduzione del traffico, è decisamente aumentato nei quattro mesi freddi, con punte di 200
microgrammi su metro cubo di polveri a Salonicco (ma situazioni simili si sono registrate ad Atene e
altrove).

Durante l’ultima conferenza del Network su Ambiente salute ed economia (EHEN)
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Sarigiannis ha quantificato in 2 miliardi di euro il possibile
risparmio da morti e malattie evitate se in Grecia si potesse passare da un riscaldamento a legna a
uno meno inquinante a gas.
Quante vite (e soldi) risparmiate
Più in generale, un recente studio condotto secondo il metodo dell’analisi costi/benefici da Mike
Holland, membro di EHEN, in tutta Europa, dal 2000 al 2030 le attuali condizioni di inquinamento
atmosferico sono responsabili di 4,28 milioni di anni di vita perduti, che potrebbero scendere a 3,53
milioni se si adottassero tutte le misure oggi tecnicamente possibili per abbattere gli inquinanti. Vale
a dire circa 11.000 vite risparmiate in trent’anni.
17 ottobre, 2013 da Luca Carra

http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/luca-carra/iarc-linquinamento-dellaria-e-cancerogeno/o
ttobre-2013